Dove sono finite le azzurre? Analisi di una sconfitta non annunciata

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Di A.G.

Pochi lo dicono, molti lo pensano: la nazionale femminile oggi è una squadra sulle ginocchia. Non si tratta di una crisi conclamata, ma i numeri certificano che le azzurre sono in affanno. Quattro sconfitte nelle ultime cinque partite di Volleyball Nations League sono un segnale d’allarme forte per una squadra che aveva disputato un’ottima prima parte di torneo, trovandosi addirittura in vetta nel Round Robin. E se le sconfitte della Pool di Ankara sono state indolori, visto che le azzurre avevano già staccato il pass per la Final Six, quelle di Nanchino contro la Turchia e la Cina non possono essere considerate allo stesso modo.

FATTORE TECNICO, FATTORE MENTALE – La delusione è grande, inutile nasconderlo. L’Italia, vice-campione del mondo in carica, non è riuscita a raggiungere le semifinali di VNL. Nel primo match di Final Six la Turchia non ci ha nemmeno permesso di entrare in partita, nella classica gara da 3-0 in cui a una squadra riesce tutto mentre l’altra sbaglia l’approccio, interpreta male le situazioni e si affievolisce rapidamente. Stesso copione contro la Cina, nonostante che in questa occasione le azzurre siano riuscite a vincere un set e abbiano provato a reagire alle difficoltà.

L’Italia ha deragliato perchè non ha potuto giocare la sua pallavolo ordinata, caratterizzata da un muro-difesa solido e un cambio palla regolare in attacco, oltre che un servizio incisivo. Una volta che la ricezione ha iniziato a staccarsi da rete, la qualità del cambio palla è peggiorata, compromettendo a cascata tutti gli altri fondamentali e la regia di Malinov, costretta a correre su e giù per il campo da gioco. Ma al di là delle criticità nel cambio palla, il più grande limite di questa squadra a Nanchino è stato quello di non adattarsi al contesto imposto dalle avversarie. Un’Italia a disagio nell’attaccare con ricezione staccata e allungare gli scambi, giocando colpi interlocutori e sporcando le azioni, come nell’organizzare il muro.

La sensazione che le azzurre hanno lasciato in questa Final Six è quasi di impotenza rispetto a ciò che succedeva sul campo: sono venute a mancare l’alchimia di squadra e la capacità di rispondere colpo su colpo alle avversarie. Spesso la reazione del corpo era del tipo “E ora che facciamo?”: la mancanza di un piano B – o se preferite l’incapacità di attuare un piano B – è stata la cosa più preoccupante per coach Mazzanti e a cui dovrà mettere mano prima che sia troppo tardi.

TANTA EGONU, TROPPA EGONU? – Decisiva, determinante, imprescindibile. Egonu (179 punti in 7 partite di VNL) ha guidato l’attacco dell’Italia da vera leader, ma con un avversario molto abile a muro come la Turchia era impensabile che potesse essere l’unico terminale offensivo: nel primo incontro di Nanchino ha alternato colpi da fenomeno ad errori grossolani, insistendo tanto, talvolta senza lucidità. Contro la Cina, però, si è riscattata come solo una campionessa del suo calibro avrebbe potuto fare, mettendo a referto 39 punti con il 49% di efficienza in attacco.

Non importa la qualità della ricezione, la velocità dell’alzata, la posizione da cui attacca, né la possibilità di eseguire o meno la rincorsa: quando Egonu sale in cattedra, il risultato è quasi sempre un colpo vincente che passa sopra o al fianco del muro. Paola è dunque il fenomeno che fa fare il salto di qualità alla nostra Nazionale, anche se è sbagliato parlare di “Egonu-dipendenza”. D’altra parte, cosa sarebbero la Serbia senza Tijana Bošković, la Cina senza Zhu Ting o il Brasile senza Gabi? Squadre magari forti comunque, ma allo stesso tempo depotenziate. Come l’Italia senza il suo opposto.

RITROVARE LO SPIRITO VINCENTE – In occasione del Mondiale giapponese, la Nazionale di Mazzanti, arrendendosi solo in finale alla Serbia, aveva entusiasmato un intero Paese con le bordate di Egonu, Sylla e Bosetti, le invenzioni di Malinov, le difese di De Gennaro, i muri e le fast di Chirichella e Danesi, l’importante contributo della panchina, ma soprattutto con la voglia di vincere, la freschezza e la spensieratezza. L’Italia aveva dimostrato di essere un gruppo molto coeso, spumeggiante e senza nulla da perdere, in cui giocatrici dal talento infinito avevano dato il massimo per il bene della squadra. È questo lo spirito che ha fatto entrare le “ragazze terribili” nel cuore degli italiani. È questo lo spirito che le nostre azzurre dovranno ritrovare in vista del Preolimpico di Catania e dei Campionati Europei. Perchè questi tornei sono spietati.

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