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foto di Vincenzo Di Pinto

Di Pinto a tutto tondo: maestri, tecniche individuali, mentalità vincente e… il prossimo obiettivo

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Dopo aver fatto (nuovamente) le fortune di Taranto, portandola dalla A2 alla Superlega e centrando nel massimo campionato due salvezze assolutamente contro pronostico, Vincenzo Di Pinto ha deciso di rifiatare un attimo (ma solo un attimo, lo precisiamo). I motivi sono principalmente due, e si possono riassumere in due parole che hanno un certo peso: correttezza e ambizione.

Correttezza perché, come lui stesso ci racconta, “durante il campionato ho avuto delle proposte (anche da parte di dirette concorrenti, aggiungiamo noi), ma non ho voluto mai parlare con nessuno perché pensavo solo a Taranto e alla salvezza che stavamo inseguendo. Tutte le mie energie erano impegnate per quello. Sono stati tre anni durissimi, di grandissimi risultati e grandissimo lavoro, nonostante il covid, tanti infortuni a giocatori chiave, un intervento che ho subito per un tumore alla prostata e una frattura alle costole a causa di un investimento. I risultati ottenuti, gli obiettivi raggiunti, mi hanno ripagato di tutto. La mia coscienza è a posto, ora ne sto approfittando per recuperare la mia salute”.

Ambizione perché ora Di Pinto aspetta una grande chiamata: “Non lo nascondo, voglio tornare a vincere qualcosa di importante. Negli ultimi anni sono sempre stato rappresentato come l’uomo delle salvezze impossibili e dei miracoli con le squadre del sud, ma la mia carriera era cominciata con squadre di vertice del nord e ora è lì che vorrei tornare ad allenare. Mi sento pronto anche a prendere in mano un progetto ambizioso nel femminile. La Serie A1 la sto studiando da tempo, sarebbe intrigante. Negli ultimi anni ha avuto una bella evoluzione, ormai non ci sono più differenze rispetto alla Superlega dal punto di vista tecnico-tattico” racconta Di Pinto che, a 65 anni, di cui 45 nella pallavolo e di questi oltre la metà da allenatore di Serie A, di studiare e aggiornarsi non ha mai smesso. “Il gioco evolve continuamente, se non stai al passo sei fregato”.

foto ricordi di pinto
foto Vincenzo Di Pinto

D’altronde la sua cifra è sempre stata questa. “Da quando ho iniziato nel 1979 ho da subito attinto ai miei studi universitari sull’oculomotricità e sulla biomeccanica applicando le mie idee alla pallavolo – ci spiega –. Successivamente ho cercato di rubare tantissimo ad Anderlini, era quasi un padre per me; ho studiato Platanov, primo grande tecnico russo; Doug Beal; Velasco. Con Julio avevamo un bellissimo rapporto, ho fatto un grandissimo salto di qualità grazie a lui. Era un grande lavoratore, di palestra e di tecniche di gioco. Poi Silvano Prandi, Bebeto, ora Fefè De Giorgi, che sono andato a ‘sbirciare’ anche all’ultimo collegiale di Cavalese”.

Non solo pallavolo, però. Di Pinto è anche uno molto attento alla gestione del gruppo, delle energie mentali, dello stress, e per questo la sua attenzione negli anni si è rivolta anche ad altri sport e altri allenatori. “Mi piaceva tantissimo Marcello Lippi, che mi ha ispirato molto circa la gestione di uno spogliatoio. Se sei una squadra di vertice, devi essere bravo a gestire la pressione delle vittorie; se lotti per salvarti devi sostenere il peso delle sconfitte. In entrambi i casi la programmazione della stagione è fondamentale, devi sapere sempre quali punti devi portare a casa per raggiungere il tuo obiettivo”.

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foto di Vincenzo Di Pinto

“Ma da sempre mi affascinano anche le tecniche individuali di allenamento e per seguire mio figlio, che da ragazzo giocava a tennis, in più di un’occasione ho avuto anche la possibilità di assistere agli allenamenti di Federer e Nadal, che in alcuni aspetti mi hanno aperto davvero un mondo”.

Ora, dunque, i suoi giocatori sanno a chi dare la colpa per i famosi allenamenti “individuali” di Vincenzo Di Pinto. Si dice, ma senza fare nomi, che sia capitato spesso che alla fine di un allenamento, a turno, uno dei suoi giocatori si “immolasse” parlando, o meglio ascoltando, il coach per almeno altre due ore permettendo al resto della squadra di scappare a casa da un’altra uscita del palazzetto. Questo perché Di Pinto è insieme un uomo davvero appassionato per questo sport, ma al contempo uno che non lascia nulla al caso, quasi maniacale nella sua ricerca del risultato, sia esso di squadra che, come detto, volto a migliorare uno per uno tutti i suoi giocatori in uno o più fondamentali. E i fatti, i numeri, le statistiche, alla fine, in tutti questi quarant’anni e più di pallavolo, gli hanno dato sempre ragione.

Qualche esempio? Emblematica è proprio l’ultima stagione di Taranto, che è riuscita a salvarsi anche perché qualcuno ha beneficiato, eccome, della “cura” Di Pinto. “Quando è arrivato Antonov, 36 anni, tutti dicevano che non sapesse ricevere. Gli ho detto che poteva ricevere 6 su 6, non solo il salto ma anche la float. Non ci credeva nemmeno lui: ”Sei il primo che mi dice una cosa simile” mi rispose. “Quello che conta sono i fatti” gli dissi io. Abbiamo lavorato, ha iniziato ad avere delle sensazioni positive che poi si sono trasformate in convinzioni che hanno completato l’opera. Morale della favola, ha chiuso il campionato al 2° posto nella classifica delle ricezioni perfette (unico schiacciatore della Top5, gli altri quattro sono tutti liberi, ndr)”.

A sostegno della tesi aggiungiamo noi anche il grande lavoro fatto in attacco, ben rappresentato dal secondo posto di Loeppky nella classifica degli attacchi/media ponderata dietro un certo Leon, dal 3° di squadra alla voce attacchi vincenti e il 2° alla voce attacchi vincenti per set. Nel primo caso dietro Trento e Piacenza, nel secondo dietro Perugia, tutte squadre che al contrario della Gioiella Prisma hanno disputato un campionato di vertice.

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Foto Lega Volley

Sì, ok, scherzandoci sopra, lo fa lo stesso Di Pinto, la sua attenzione ai dettagli, di qualunque tipo (non va dimenticato che negli ultimi anni, dove ha allenato, ha ricoperto, e bene, anche il ruolo di manager e talent scout) richiede un certo impegno, una certa “applicazione”, ma poi alla fine tutti i suoi giocatori gli hanno sempre dimostrato una grandissima stima e riconoscenza. E tra questi di top player ce ne sono stati tanti. “Zorzi, Brogioni, Schuil, Rafael Pascual, Vujevic, Savani, Pippi, Bovolenta, Matt Anderson, Stokr, Sintini, Miguel Angel Falasca, Anderson Rodrigues, Granvorka, Kovac. Sono tutti giocatori che ho davvero amato allenare. I campioni sono campioni perché oltre al talento hanno anche una grande mentalità. I grandi giocatori vogliono vedere se tu sei competente, e se lo sei ti seguono come un’ombra”. 

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foto Vincenzo Di Pinto

La nostra chiacchierata con il coach volge così al termine (ammettiamo che lo avremmo ascoltato per settimane, “colpa” anche della sua simpatia e della sua empatia davvero rare). Per scrivere di Di Pinto un libro non sarebbe sufficiente, e farlo ora porterebbe a un’opera incompiuta perché mancante delle ultime pagine. Pagine che siamo ansiosi di leggere.

La prima parte ci ha raccontato dei suoi successi con Lube Macerata, playoff al primo anno, semifinali scudetto al secondo; Perugia, con record di punti della squadra (50), di vittorie consecutive (11), di una Challenge Cup vinta (primo trofeo assoluto della società umbra); e nazionale spagnola, premiato come allenatore più creativo del Mondiale 1998. Nota a margine: per chi non lo sapesse, se oggi Santarelli e colleghi parlano da bordo campo coprendosi il volto con la giacca, il primo a farlo è stato proprio Vincenzo Di Pinto in mondo visione a quei mondiali in Giappone.

La seconda parte lo ha costretto “all’esilio” (è il caso di dirlo) in Puglia per permettere alla moglie, colpita da una grave forma d’asma, di curarsi al meglio in un clima più ideale alle sue condizioni di salute. Qui, alla guida (in più riprese) di Gioia del Colle, Taranto, Castellana Grotte e Molfetta (oltre a Vibo Valentia), a suon di promozioni e salvezze è stato l’unico allenatore in grado di portare squadre del sud a competere a testa altissima nel massimo campionato, gestendo praticamente sempre i budget più bassi di tutta la Superlega. Imprese che, grazie all’intuizione del collega Rai Franco Strippoli, gli valsero quel soprannome di “Mago di Turi” che oggi tutti conosciamo.

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foto Vincenzo Di Pinto

“Ora, fortunatamente, i problemi di salute di mia moglie sono superati. I figli sono cresciuti, si sono sistemati brillantemente entrambi, e non c’è più nulla che mi impedisca di allenare altrove. Ovunque sia andato, il mio obiettivo è sempre stato uno: vincere. E ora ho una voglia incredibile di vincere ad alto livello e tante certezze che mi convincono che posso mettermi alla prova in un top team con grandi ambizioni”. Alle volte la vita toglie, altre restituisce. Ci auguriamo che sia questo il caso di Vincenzo Di Pinto, uno dei grandi maestri italiani di pallavolo in circolazione.

Di Giuliano Bindoni

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