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Dalla Romania all’Italia negli anni Settanta: la vita avventurosa di Rodica Popa

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Di Redazione

Nel lontano 1991 Gianni Mura, il grande giornalista sportivo scomparso lo scorso anno, inaugurò su La Repubblica la rubrica “L’altro straniero“: la protagonista della prima puntata era Rodica Popa, grande pallavolista rumena fuggita dal blocco sovietico nel 1971, a soli 21 anni, per rifugiarsi in Italia, dove poi ha coltivato per altri vent’anni una gloriosa carriera. In occasione del trentennale della storica intervista, che Mura definì “la più bella della mia vita“, il quotidiano ha ripubblicato l’articolo accompagnato da un colloquio tra Emanuela Audisio e l’ex giocatrice e allenatrice, che oggi ha 71 anni e vive a Fano.

Fu l’emozione più grande della mia vita extra-sportiva – racconta Popa, che all’epoca giocava in Serie B nella Silvio Pellico Sassariil mito che bussa alla tua porta. Uscimmo a camminare per Sassari, mi portò in cantine ed enoteche, mi spiegò i vini. Intanto parlavamo, era curioso: voleva capire la mia esistenza di campionessa ribelle, di fuggitiva, di ragazza ingenua. Ero un libro bianco che lui poteva riempire, un personaggio sportivo che lo stuzzicava“.

Oggi, a trent’anni di distanza, Rodica rivede con altri occhi la sua storia: “Miglior giocatrice europea nel ’69, transfuga nel ’71. Sono fuggita quando non fuggiva nessuno, molto prima di Nadia Comaneci. Cercavo la libertà, già da piccola, non mi andava di essere controllata. E soprattutto non sopportavo la noia di una vita in cui tutto era programmato e non c’era mai un imprevisto. Ho fatto finta di andare in farmacia e mi sono allontanata (durante i Campionati Europei a Reggio Emilia, n.d.r.), senza niente. Né una borsa né un documento. In Romania mi hanno condannata a sei anni per alto tradimento. E io sono finita in un campo profughi a Trieste, ma ero felice“.

L’impatto con l’Italia e con il mondo occidentale fu scioccante: “Era un’Italia bellissima, nonostante gli anni di piombo. A Firenze ho scoperto i locali, respiravo libertà. Mettere le monete nel jukebox per me era un sogno. Avevo anche la passione per le moto, mi sono fatta regalare da un amico una Ducati 250 Scrambler, anche se avevo giurato ai dirigenti che sulle due ruote mai. Invece sempre, e sono pure caduta e ho dovuto saltare una partita“.

Poi il trasferimento a Bari: “Mi dissero che era un posto pericoloso, di non uscire. Per i primi 5 anni sono rimasta tappata dentro, poi ho scoperto una città fantastica. Ma la delinquenza minorile c’era: mi hanno scippato Mary, la cagnolina, per riaverla ho dovuto pagare mezzo milione di lire. Per questo giravo in bici con una mazza da hockey, con la scritta ‘difensore d’ufficio’!“.

Eppure Rodica Popa non ama vivere di ricordi, tutt’altro: “Ho un cattivo rapporto con il tempo – spiega – mi mette in crisi l’istante bellissimo che non c’è più. Non ho vecchie foto, né le voglio di adesso; del passato non ho tenuto niente, né trofei, né medaglie. Ho salvato una sola cosa: l’articolo di Mura. Dentro c’era tutto quello che ero io e tutto quello che era lui. Ma senza la fine“.

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