Le riflessioni richiedono sempre tempo, motivo per il quale proviamo ad analizzare oggi quanto accaduto, a più di quarantotto ore di distanza dalle parole pronunciate da Julio Velasco, nel corso e a margine della conferenza stampa di presentazione della Stagione Azzurra.
In parte quello del ct è diventato anche un duro attacco a quattro giocatrici colpevoli d’aver declinato la convocazione in nazionale per un’altra lunga estate di pallavolo che scalderà i motori in VNL per, poi, correre quel gran premio che sarà il Mondiale. La nazionale, appunto: un sogno, un’opportunità a cui dovrebbero ambire tutte, una responsabilità, e chi può giocarci non dovrebbe rinunciare a farlo.
Dunque, perché Chirichella, Pietrini, Bonifacio e Lubian hanno detto di no? Proviamo a dare un’occhiata a questa situazione anche da un altro punto di vista…
Nella sostanza Velasco ha sicuramente tutte le ragioni del mondo quando afferma “Un no è sempre un no”, e quando sottolinea “che nessuno pensi che ogni anno decide se venire o no in nazionale”. È un messaggio chiaro, rivolto non solo alle quattro giocatrici in questione, ma a tutte quelle che fanno parte e faranno parte della nazionale oggi come domani e negli anni a venire.
Chi ha detto di no a Velasco, magari, perché reduce da una stagione complicata dal punto di vista delle problematiche fisiche, avrà pure avuto le sue ragioni, ma se la risposta è stata davvero “ho bisogno di una estate”, come raccontato dal ct, in questo caso è stata sicuramente sbagliata, e tanto, almeno la forma.
In altri sport se un giocatore non è in condizioni idonee ma viene convocato, solitamente risponde alla chiamata, viene esaminato dallo staff medico della nazionale, e se lascia il ritiro lo fa perché in nazionale viene accertata la sua impossibilità a fare parte del gruppo.
Ma la forma stavolta l’hanno sbagliata un po’ anche Velasco e con lui la Federazione, perché se da una parte era giusto porre l’accento sul fatto che alla maglia azzurra non si debba dire di no, e ci mancherebbe, lo sarebbe stato altrettanto fare dei distinguo, o quantomeno delle premesse, che avrebbero potuto contestualizzare meglio la situazione e, per esempio, evitare un processo mediatico e pubblico per atlete tesserate prima di tutto per i loro club e persone, comunque, sempre patrimonio della pallavolo nazionale, della sua storia e della sua immagine.

Un errore di forma, per esempio, potrebbe essere stato quello di gettare in questo calderone senza spiegazioni anche Chirichella, la cui storia in azzurro è quantomeno diversa da quella di altre. Infatti, Cristina Chirichella aveva perso prima la fascia di capitano (2021) e poi la maglia azzurra (2023), colpita dalle scelte dell’allora coach Mazzanti e non risulta che Velasco l’abbia presa in considerazione la scorsa estate. Se lei ha affermato, come fatto a Istanbul in chiusura della Final Four della CEV Champions League, che “la nazionale è un percorso finito per me”, magari, è anche perché il suo, di percorso, ha già preso in passato pieghe differenti. Apriamo e chiudiamo anche un’altra parentesi giusto per nota di cronaca: Chirichella ha 31 anni, gli stessi di Bosetti, la cui esclusione, a sua volta, ha fatto notizia per altri motivi, ma nella quale si potrebbe trovare qualche contraddizione con la convocazione della coetanea Chirichella.

Sara Bonifacio, invece, centrale di Novara la scorsa estate faceva parte del gruppo di Velasco, ma dovette lasciare il ritiro, rinunciando anche alle Olimpiadi, a causa di un infortunio (trauma distorsivo alla caviglia sinistra). Quest’anno, solo in stagione regalare, ha saltato nove partite a causa di un problema, pare, non ancora pienamente risolto a un ginocchio.

Marina Lubian, centrale di Conegliano, in stagione ha visto il campo per 15 volte ma non si tratta di tutte partite giocate dall’inizio alla fine e le motivazioni non sono solo riconducibili a una scelta tecnica da parte di coach Santarelli: Lubian è tutto l’anno che lotta con un problema alla spalla. Ciò detto, volendo, la sua convocazione alla luce della sua non piena titolarità nel club quest’anno e al di là del fatto che è una delle ragazze d’oro di Parigi 2024, potrebbe pure non essere coerente con la filosofia esposta proprio da Velasco per cui “Tra una giocatrice che fa la riserva in A1 e una che gioca titolare in A2, prendo la seconda”.

Infine, Elena Pietrini, che quest’anno di fatto non ha quasi mai giocato ed è stata disponibile tra l’altro solo da gennaio/febbraio in avanti. Quasi un anno fa (29 maggio) Pietrini, infatti, era stata sottoposta a un delicato intervento chirurgico alla spalla e la sua riabilitazione ha richiesto tempi lunghi. Velasco, prima, era andato anche in Russia, dove Elena giocava, per parlarle di persona e constatare le sue condizioni fisiche. Però, l’idea del coach per la prossima estate, probabilmente, poteva essere quella di lanciarla titolare, e, magari, la scelta di rinunciare a Bosetti è andata anche in questa direzione.
Stiamo parlando dunque di tre giocatrici con problematiche fisiche accertate e già emerse nel corso della stagione – certo, non sono probabilmente le uniche che possono sollevare tematiche di questo genere -, più una quarta che dalla nazionale era stata esclusa da tempo. Siamo lontani dal voler giustificare i loro comportamenti, ma, forse, giusto per avere un’altra prospettiva, come (con)causa per questa situazione si sarebbe potuto provare anche a tirare in ballo, almeno un po’, un calendario nazionale e internazionale che non concede alcuna pausa, logorando fisicamente (e pure mentalmente, non dimentichiamolo) i suoi protagonisti, con manifestazioni senza soluzione di continuità. È una storia vecchia, già, ma potrebbe essere un altro tema cui dedicare maggiore attenzione anche per spiegare questi casi.
In questo caso un attacco così diretto a Chirichella, Bonifacio, Lubian e Pietrini – per quanto condivisibile nel suo contenuto legato all’importanza della Nazionale -, probabilmente, ha reso l’idea per tutti, ma poteva essere gestito con più attenzione, senza sminuirne o nasconderne il significato e l’importanza. Così, l’impressione è che sia stato un po’… ‘too much’.
Di Giuliano Bindoni
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