Quante volte, scrivendo di sport, noi giornalisti abbiamo preso in prestito quella formula anglosassone che per tutti poi è diventata solo il titolo di un film divenuto cult: Sliding Doors. La principale di tante ‘sliding doors’ di questa Italia delle Ragazze d’Oro di Velasco è stata il doppio cambio. Divento cult anche quello. Ovvero Carlotta Cambi e Kate Antropova. Uno switch all’interno di tante partite che si è trasformato spesso in arma letale.
“È un ruolo che a me piace molto, anche se la titolarità nel club non la cambierei mai. In Nazionale è un ruolo che a tratti mi diverte molto, nel senso che ti da la possibilità di guardare la partita con occhi diversi, capendo cosa sta funzionando e cosa no per poi cercare di farlo quando entri in campo. Che poi è la cosa più difficile, perché un conto è capirlo e un conto è farlo. Sono molto contenta che Julio lo ritenga un ruolo importante e che riusciamo ad essere protagoniste entrando dalla panchina. Non è una cosa così comune nella pallavolo”.

Di fatto in questo gruppo, da quando c’è Velasco, le definizioni di titolari e riserve si perdono. C’è solo un diverso ordine di chi entra in campo. È meravigliosa questa cosa.
“Sì assolutamente. È anche una cosa che ci fa vivere meglio l’estate e che ci tiene anche molto sul pezzo tutte quante. Alla fine sai che potresti servire in qualunque momento e in qualsiasi partita. Anche perché poi Julio è un allenatore che non si fa problemi a farti entrare e questa è una cosa che tiene la squadra bella sveglia. Basta guardare la finale e il tiebreak”.
Ecco, veniamo proprio al tiebreak. Entri in un momento cruciale (8-7 Italia) e vai subito in battuta. La mano avrebbe tremato a chiunque, non potevi sbagliare.
“Julio era venuto a chiedermi se me la sentissi di fare una battuta corta. Dentro di me mi son detta ‘bene, partiamo bene…’. Ovviamente gli ho risposto di sì, anche perché è un gesto che provo spesso in allenamento, mi riesce e lo sento abbastanza mio. Certo, in una finale mondiale è un’altra cosa, ma me la son sentita. Già da lì, però, avevo capito che Velasco aveva qualcosa in mente, e infatti poi dietro c’era tutta una tattica di muro che poi ha funzionato nel giro di battuta successivo, quello di Gaia Giovannini”.

Quattro muri d’oro, ha funzionato eccome! Tu in quel frangente non tocchi mai palla. Possiamo dire che possedevi il biglietto più prezioso di tutto il palazzetto.
“In realtà io di quel tiebreak non ricordo molto, ma una cosa sì: da quando sono entrata, dopo ogni punto, ci abbracciavamo in cerchio e ci ripetevamo ‘un altro break’. L’unico focus era quello di pensare un break alla volta. Ricordo però che a un certo punto, tra me e me, mi son detta: ‘sì vabbè, un break, un break… ma quanto stiamo?’ Poi ho visto il tabellone, eravamo 13-8, e ho pensato ‘ok, ci stiamo avvicinando’. È stata una sensazione molto bella”.
E una volta caduta l’ultima palla?
“Mi rendo conto che forse con le mie compagne non siamo riuscite ad esprimere a gesti la felicità di quel momento, ma eravamo sfinite. Sfinite da questo torneo infinito, sia fisicamente che mentalmente, e in più sfinite dal weekend perché se uno ci pensa abbiamo giocato dieci set in ventiquattro ore, tiratissimi e con una pressione addosso incredibile. Una felicità assoluta, ma con poca energia per esternarla”.

Olimpiade e Mondiale: due vittorie enormi, giganti, storiche, ma molto diverse tra loro. Velasco era stato profetico anche in questo dopo Parigi.
“Io faccio sempre l’esempio del Mondiale 2018 dove proprio in finale ci era mancata quella concretezza, ma anche quella esperienza e quella capacità mentale di rimanere dentro la partita e riuscire a vincerla. Prima di questo Mondiale, invece, ho sempre pensato che avevamo tutto per centrare l’obiettivo. Velasco è stato bravissimo, è da maggio che ci preparava sul fatto che questa estate non sarebbe stata uguale a quella precedente. Ci ripeteva in continuazione che sarebbe stato più difficile, che avremmo vinto la semifinale 3-2. In questo è stato profetico, ma la bravura sta nel fatto di avercelo fatto pensare già quattro mesi prima e quindi poi quando è arrivato il momento di giocarcela punto a punto si è visto che eravamo pronte. Su questo Mondiale ha ragione Julio: è stato più sofferto rispetto all’Olimpiade e per questo è stato più bello da vincere”.
Torniamo alla domanda iniziale, il doppio cambio. Con Antropova ormai siete una coppia di fatto. Charlie&Kate, suona anche bene. Com’è il vostro rapporto fuori dal campo?
“Forse vedendola giocare non si direbbe, ma Kate è una persona estremamente divertente e ha un umorismo black tutto suo. Alle volte fai quasi fatica a capire se stia scherzando o stia parlando seriamente. Io ci sono andata subito d’accordo, anche perché mi ritengo una persona spiritosa, dalla battuta facile… – sorride, ndr-“.

Allora sei la persona giusta per raccontarci qualche aneddoto divertente di questo Mondiale. Ad esempio, della ‘gita in barca’ alle isole Phi Phi… cosa possiamo raccontare?
“Che Myriam Sylla è stata molto coraggiosa perché è entrata in acqua – lunga pausa con risate in sottofondo, ndr – Lei odia l’acqua, ha paura di nuotare, ma con il suo salvagente è riuscita a vedere anche dei pesci… L’abbiamo presa in giro per il resto del mondiale!”
Ci sono state tante giornate di pausa in questo torneo, come le avete affrontate per combattere la noia?
“Io studiando. Spedivo Anna Danesi, la mia compagna di stanza, a giocare a Burraco o a farsi fare dei gran bei massaggi thailandesi così ero bella da sola e tranquilla per studiare. Che poi, studiare, anche in quei giorni lì avevamo in testa sempre e solo la partita successiva. Non è stato facile concentrasi sui libri, ecco, ma l’ho fatto anche stavolta”.
Perché, ci sono altri precedenti?
“Durante l’Olimpiade ho dato anche un esame”.
Hai anche un altro ruolo importante in questa Nazionale, sei ‘quella che mette la musica in spogliatoio’. Dopo Marianela a Parigi, la hit di questo Mondiale qual è stata?
“Non una ma ben due! Una direi che sia ‘Halo’ di Samurai Jay e Vito Salamanca, quella che ha usato Alessia Orro per il video dopo la finale con noi tutte che cantavamo nello spogliatoio. L’altra è PAMPAMPAMPAMPAMPAMPAMPAM di Irama che è diventata un po’ un tormentone per un motivo ben preciso. In finale di VNL contro il Brasile, dopo un attacco di Antropova, Velasco in panchina ha fatto il gesto della pistola. La cosa divertente è che noi già in spogliatoio ballavamo e facevamo Pam Pam Pam e quando abbiamo visto farlo anche a lui per un momento ci siamo chieste come facesse a saperlo. Poi invece era stata solo una coincidenza, lui aveva mimato la pistola solo per quel colpo in attacco, ma era stato un gesto istintivo sul momento”.

Maglia e medaglia ora dove sono?
“La medaglia è qui con me… in macchina. Mentre parliamo sto guidando perché questa sera – venerdì 12 settembre, ndr – festeggerò con il mio paese. Per la maglietta sto aspettando di avere casa pronta per incorniciarla per bene. Tanto ci pensa la mamma ad appendere tutte le magliette”.
L’hai fatta autografare anche tu da tutta la squadra?
“No, io no. Io sono un’amante della fotografia. Appenderò la maglietta al muro con una bella foto”.
Hai già scelto quale?
“Penso che ne sceglierò una proprio di quella gita in barca. È stata davvero una bellissima giornata che abbiamo fortemente voluto trascorrere insieme. Non lo abbiamo fatto perché obbligati a stare tutti insieme, lo abbiamo fatto per scelta. L’unica che mancava purtroppo era Paola perché lei soffre la barca e noi ci siamo stati di fatto tutto il giorno”.

A te personalmente manca solo di vincere un Europeo per fare filotto. L’Europeo si giocherà il prossimo anno…
“È chiaro che la mia disponibilità in questo momento c’è, ma la decisione spetta a Julio. Lui è un programmatore, non solo per l’anno prossimo ma fino a Los Angeles 2028. Bisognerà capire quali saranno i suoi obiettivi”.
Parliamo allora di Novara. Per te si tratta di un ritorno, ma questa volta da titolare.
“Sono molto emozionata di tornare a Novara per un motivo ben preciso: lì è dove ho iniziato a giocare in Serie A e dove ho vinto il primo scudetto. Per me è un po’ casa, ha un valore speciale. In più quest’anno mi sento pronta per prendere in mano una squadra con grandi obiettivi. Quando ho firmato non si sapeva ancora della Champions e ovviamente sono contentissima di poter giocare anche questa competizione europea. Il nostro è un ‘gironcino’ bello strong, ma bisogna passare anche da lì per poter fare qualcosa di bello. E poi ritrovo Bernardi. Già in Nazionale lo scorso anno Lollo ha sempre avuto molta fiducia in me e non vedo l’ora di ripagarla”.
Casa è anche quella che stai costruendo insieme al tuo compagno, Marco Falaschi (palleggiatore anche lui, quest’anno a Grottazzolina, ndr). Il prossimo passo potrebbe essere quello di allargare la famiglia prima o poi.
“Credo che fare un figlio non debba mai essere una decisione presa alla leggera. Uno deve anche sentirsi di avere accanto la persona giusta, persona che io in questo momento mi sento di avere. Forse se me lo avessi chiesto qualche anno fa avrei risposto diversamente, ma adesso sento che mi è un po’ esplosa in mano la carriera e in questo preciso momento il mio desiderio è quello di riuscire a raccogliere i frutti il più possibile. Detto questo, in un futuro io mi vedo sicuramente mamma, insieme a Marco ci vediamo sicuramente genitori. Ma dovremo aspettare ancora un po’”.
In fin dei conti siete ancora molto giovani.
“Io di certo, lui un po’ meno forse… – risate fragorose di Carlotta Cambi, ndr -“.

Povero Fala… Ma dopo la finale vi siete sentiti? Cosa ti ha detto?
“Ahia, tasto dolente questo. Grottazzolina purtroppo quel giorno, a quell’ora, gli aveva messo un evento a cui doveva partecipare. Non so cosa sia riuscito a vedere, so solo che era molto, ma molto, ma molto arrabbiato… E ancora non ci siamo neanche visti da quando sono rientrata in Italia”.
Doppiamente povero Fala…
Intervista di Giuliano Bindoni
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