Lucchetta: "I miei modelli? Dan Peterson, Federico Buffa, Flavio Tranquillo fino a Guido Meda"

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Di Redazione 

È sempre stato un “personaggio” anche quando indossava ginocchiere e divisa. Oggi lo è ancor di più nel suo ruolo di commentatore Rai. Andrea Lucchetta, ex centrale e capitano della Nazionale italiana, è la voce che accompagna le telecronache durante le partite degli azzurri in questo Mondiali. Ecco la bella intervista a “Lucky” realizzata dalla “Gazzetta di Modena”.

Dopo che l’Italia del pallone ha vissuto un’estate in purgatorio, è tempo di sogni e speranze per un’altra nazionale azzurra, quella del volley, che si gioca il titolo Mondiale. Ad accompagnare i telespettatori della Rai in questa emozionante cavalcata c’è Andrea Lucchetta, personaggio che ha fatto la storia della pallavolo a Modena e in Italia. Fuori dagli schemi, appassionante, magnetico: il suo commento tecnico alle gare degli azzurri è una cornice colorata che inquadra lo spettacolo che si vive sul campo.

Le sue metafore hanno fatto presa sul pubblico e sono diventati virali: “Commentami la vita”, si legge sul web. E in effetti “Lucky” sembra avere una metafora azzeccata per ogni azione, la frase giusta al momento giusto. Una telecronaca che si potrebbe definire nazional-popolare, ma che ha un obiettivo chiaro: avvicinare il grande pubblico al volley, soprattutto i giovani. “Su le mani dai divani, su le mani per Osmany”, “L’attacco dello Zar non si vede neanche al Var”, “Palloni puffettosi” o ancora “Coperture flipperose”, sono parte del repertorio sfoderato da Lucchetta nel corso delle sfide dell’Italia, trascinata fin qui da un giocatore straordinario come Ivan Zaytsev, che il pubblico di Modena potrà ammirare al PalaPanini. Frasi sintetiche e dirette, anche per chi non è un appassionato di pallavolo.

Oggi gli azzurri proseguono la loro avventura nel Mondiale, affrontando la Final six a Torino, l’ultima fase del torneo che potrebbe incoronare i ragazzi di Blengini numeri uno al mondo. Un risultato che sarebbe straordinario per il movimento pallavolistico e che Lucchetta ha una gran voglia di raccontare agli oltre 3 milioni di telespettatori che stanno seguendo regolarmente le partite.

«Forse qualche genitore si arrabbierà, ma ai giovani dico sempre “Ogni mattina attaccate la caccola più in alto che potete sul muro della vostra cameretta. Più in alto arrivate e meglio schiaccerete. E alla mamma arrabbiata dite che state facendo lo scaccolometro”».

Non sarà l’insegnamento più canonico della storia della pallavolo, ma è diretto e soprattutto utile per i giovani atleti ed è quello che più conta per Andrea Lucchetta, uno che si fa in quattro per il movimento del volley. E se è vero che il ferro va battuto finché è caldo, allora in questo momento bisogna battere più forte che mai. Un po’ come stanno battendo gli azzurri impegnati nel Mondiale che si sta disputando tra Italia e Bulgaria. I ragazzi di Blengini da oggi saranno a Torino per giocarsi il titolo dopo una prima parte di torneo eccezionale. E a bordo campo, nello splendido impianto del Pala Alpitour, ci sarà anche Lucchetta nelle vesti ormai collaudate di commentatore Rai. Uno spettacolo nello spettacolo. Gli ascolti vanno a gonfie vele e le metafore di “Lucky” sono virali sul web: l’attacco all’azoto liquido dell’ultimo arrivato in casa Modena Ivan Zaytsev o il tormentone “su le mani dai divani, su le mani per Osmany (Juantorena, ndr)”.

Ma su una cosa l’ex campione di Modena è irremovibile: «Lo spettacolo è quello in campo, non il mio».

Giusto, però il suo modo di raccontare il volley è speciale. «La mia volontà è di continuare a fare promozione per questo sport, conquistando territori per divulgare quanto sia importante divertirsi con il gioco della pallavolo. E quindi utilizzare la mia professionalità, una preparazione che tranquillamente mi avrebbe garantito di fare il tecnico, per allenare le nuove generazioni. Captare le indicazioni che servono per avere dei modelli positivi su cui potersi confrontare, per capire che anche i modelli di chi fa le telecronache si deve evolvere nel tempo».

E lei ha dei modelli? «Dan Peterson, Federico Buffa, Flavio Tranquillo fino a Guido Meda. Per certi aspetti anche “Bisteccone” Galeazzi, che per quanto enfatizzasse, ha creato delle icone e uno stile. E lo stile è importante».

E il suo stile qual è? «Nei 20 secondi in cui scorre il replay devo cercare di dare un commento che introduca la tecnica del gioco, utilizzando uno storytelling metaforico con dei sillogismi in grado anche di poter far divertire e non rendere noioso un gesto tecnico che si ripete. So di essere un comunicatore in quel momento e so quanto tale ruolo sia importante. E l’ho imparato ai tempi dell’Oplà a Modena, quando avevo 20mila bambini all’anno e 40mila genitori. La mia comunicazione va verso il popolo, sta nelle piazze, nelle polisportive, negli ospedali. La mia voce deve arrivare nel divano di casa con un linguaggio divertente. Perché se io parlo agli allenatori uso uno stile prettamente tecnico, ma non ho scelto di fare questo. Io ho scelto di parlare in maniera trasversale al divano di casa. E’ troppo semplice fare un commento tecnico, piatto. Ma a chi parlerei? Solo a persone al di sopra dei 50 anni e che vivono i cambiamenti con grandi difficoltà».

E, invece, qual è il suo target? «Io ho bisogno di parlare a persone che non vedono l’ora di vivere dei cambiamenti e che vogliono essere protagoniste di uno racconto in cui il divertimento non è ascoltare la mia voce, ma in cui la mia voce è un mezzo che valorizza qualsiasi tipo di gesto tecnico venga eseguito in campo. Stando sempre al di sopra delle parti».

Aspetto a cui tiene molto. «Ora che commento la nazionale posso fare il tifo per l’Italia, ma durante il campionato non faccio il tifo. Perché il tifoso tifa per se stesso, io tifo per il bel gioco. Io tifo per quel bambino, per quel divano di casa che deve comprendere come il giocatore indipendentemente dalla casacca può commettere un errore e io da commentatore devo sottolinearlo. Il mio ruolo è quello di accompagnare il telespettatore, sono uno strumento per amplificare quelle che sono le giocate positive di quei beniamini che i raccattapalle sognano di emulare. E per questo è fondamentale l’etica: durante le telecronache io riconosco e accetto l’autorevolezza dell’arbitro. Di far polemica non mi interessa nulla».

È più teso adesso prima di una telecronaca o lo era di più prima di una partita? «Le prime volte ero tesissimo perché avrei voluto giocare in campo. Infatti mentre faccio la telecronaca gesticolo, “brigo”, mi alzo. Mi manca quell’adrenalina, l’adrenalina della partita. Ora riesco a canalizzarla nella capacità di tenere alto il ritmo che non abbandona mai il telespettatore. Lo stesso ritmo che ci deve essere quando lo scambio si fa lungo: servono cuore e passione, ma si deve essere anche freddi e lucidi per trovare la giocata vincente. E così, improvvisando, io racconto la pallavolo. Così come quando sono in una piazza con 3mila bambini e gioco per tutto il giorno, lo stesso faccio in televisione, senza prepararmi nulla, perché io sono così».

L’Italia vincerà il Mondiale? «È una squadra che ha tutte le caratteristiche per vincerlo. E può godere anche della spinta della gente che trasmette una grande forza. Poi gli azzurri sono maturati, siamo in un momento fantastico. La palla è comunque nelle loro mani, noi cercheremo di spingere al massimo affinché questo sogno possa diventare realtà».

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