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Intervista a Yuri Romanò: “Vi spiego perché in Russia. Nazionali? Mondi paralleli, nessuna rivalità”

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Ricordatevi di me. Quando leggo questo appello accorato scritto in uno dei millemila pezzi a lui dedicati nelle ultime settimane sorrido, scherzo con lui, gli dico che non è possibile che abbia davvero detto una frase simile, e poi mi inalbero perché non lo ha detto a me, che con i virgolettati giusti non ho costruito uno straccio di carriera o un pezzo degno di nota, usando una frase ad effetto detta da un Romanò che passava per caso. Lui risponde scherzosamente, affermando di non aver mai detto di ricordarsi di lui o di essere il più forte opposto del mondo.

La palla a questo punto passa a me, che da anni lo sgrido durante ogni conversazione. Devi tirartela un po’, Yuri. Devi calarti nella parte. Devi essere più di quello che pensi di essere. Lo dico da quando sognavo il virgolettato dei sogni, un po’ alla Muccino da David di Donatello, ma soprattutto un po’ alla Antonello Venditti del 1989. Lo dico da quando ho perso la testa per Yuri Romanò, la storia delle storie, il ragazzo che nessuno ha visto arrivare e che ci ha regalato due Mondiali negli ultimi quattro anni.

Il giovanotto lombardo che ci ha consegnato la medaglia da appendere assieme al chiodo in cameretta e che fino al suo approdo in nazionale giocava in A2, e qui è la prima aggravante. Yuri non lo abbiamo visto arrivare e poi alle volte lo abbiamo dato per scontato in questi anni. Noi dell’esercito dei selfie che a Romanò vogliamo certamente bene, ma non benissimo, lo abbiamo voluto crescere e poi, e qui arriva la seconda aggravante, lo abbiamo consegnato al gate di Malpensa proprio qualche giorno fa per mandarlo in Siberia. Come direbbe Margaret Mazzantini, «sento gracidare il dolore del mondo».

Con Yuri cuciniamo via Whatsapp da Serpukov, che devo andare a cercare sulla cartina, ma che lui mi giura sia un posto in cui l’impatto è stato davvero positivo. Parte lui.

“Ho letto anche io quell’intervista di cui parla. Sicuramente l’immagine del ricordo mi ha rievocato il fatto che quest’anno ho abbracciato un progetto fuori dall’Italia. Al di là di ciò che poi è la cronaca delle ultime settimane, l’idea che un distacco possa toglierti dal centro della scena è reale, ma non ne ho mai fatto un problema. C’è questa cultura del campionato italiano e del parlare praticamente solo di questo, quindi quando un giocatore va fuori dal Paese, sembra quasi che vada a peggiorare il proprio livello. Io non la penso così, anzi, credo che sotto questo punto di vista allontanarmi da un campionato che conosco bene e acquisendo delle dinamiche nuove, possa rappresentare un bell’arricchimento”

Al campionato russo che giocherà col Novi Urengoy ci arriva da migliore del mondo. Io lo so che lei con queste definizioni ancora si deve riappacificare, ma mi dica almeno cosa si prova a ricevere un’attestazione simile.
“È banale dire che la cosa faccia un grande piacere e che dietro ci si senta premiati per il lavoro e i sacrifici fatti. Sacrifici che sono stati fondamentali per farmi arrivare fino a quel punto. Cerco di sfruttare questa cosa. Non ho mai vinto un premio personale, e se mi permette, un po’ me lo sono sentito mio anche allo scorso Mondiale, quindi sono estremamente felice”

Secondo lei, perché l’Italia ha vinto? 
“Perché c’è un gruppo, un gruppo che lavora assieme da tanti anni, che ha superato assieme sconfitte, delusioni, eventi come la defezione di tasselli importanti come Lavia o come Sanguineti. Un gruppo che ha saputo isolarsi ad un certo punto del suo percorso, confrontarsi, dicendosi anche molto e che è riuscito in questo Mondiale a superare il momento del Belgio, andando avanti come per magia”

Diciamo che il momento post-Belgio è stata la chiave di svolta. C’è stato anche lì un isolamento?
“No, quando uso la parola magia lo faccio con cognizione di causa. C’è stata l’Ucraina, dove ho visto che tutto ciò che avevamo affrontato e tutto ciò che ci eravamo ripromessi di applicare, lo abbiamo fatto bene. C’è stato, è vero, un prima e dopo Belgio. Le prime partite non eravamo noi al 100%, poi abbiamo fatto capire contro l’Argentina che eravamo usciti dalla tempesta e abbiamo proseguito così, fino alla Polonia e alla finale con la Bulgaria”

Di queste partite si è detto tutto. Nessuno le ha chiesto quanto ha sentito la squadra attorno a sé. Penso ad un’immagine. Gianluca Galassi, che nonostante non abbia fatto un torneo da protagonista sul campo, ogni finale di partita non perdeva occasione per avvolgerla tra le sue braccia.
“Voglio molto bene a Galassi, siamo compagni di squadra, ma in questi anni siamo diventati molto amici fuori dal campo. Quando le parlo di gruppo mi riferisco a quelle immagini. È ovvio che ricambierei lo stesso gesto ed è ovvio che a parti invertite cercherei di essere lo stesso compagno di squadra che lui è stato per me”

L’Italia è impazzita per Sinner negli ultimi anni. Posso dire che il suo atteggiamento, traslato nella pallavolo, mi ricorda molto lei?
“La ringrazio molto. Lei forse pensa al tema del più forte, io le dico che dagli sportivi di quel livello, ho cercato di prendere un aspetto, ovvero di essere pronto ad affrontare gli scontri importanti, le partite decisive. Questa è la cosa che ho sempre apprezzato di sportivi come Sinner e ho cercato di emularli sotto questo punto di vista”

L’Italia del volley non vince solo nel maschile, anzi, vince ancora di più nel femminile. C’è questo spirito di emulazione o la dico meglio, si sente addosso la pressione di vincere quanto fanno le ragazze di Velasco?
“No, siamo mondi paralleli. Il confronto arriva tutto dall’esterno, arriva da chi pensa che ogni cosa sia uguale all’altra solo perché compresa nello stesso cappello chiamato pallavolo. Le abbiamo guardate e quando hanno vinto siamo stati molto contenti per loro, ma non viviamo con preoccupazione il dover essere come la squadra femminile. Ognuno ha il proprio progetto, il proprio percorso e i propri obiettivi”

Non andiamo avanti con il parlare dei prossimi?
“Mi conceda il tempo di realizzare di essere in Siberia (ride n.d.r.)”

Che aggettivo userebbe per questi primi giorni?
“Frastornato. Sono arrivato con Marta e Bianca e la prima cosa è pensare che sia tutto completamente diverso. Devo fare dei documenti e insieme a Micah, compagno di squadra americano, abbiamo preso un aereo e dopo tre ore di volo siamo arrivati qui, non capendo nemmeno cosa e con chi dobbiamo parlare. Siamo stati accolti benissimo. Viviamo a Serpukov, sotto Mosca. A Novi andremo soltanto per le partite e con Micah e la sua famiglia viviamo in un villino diviso in due case speculari, quindi questo è molto positivo per Marta e Bianca che non saranno sole. La bimba ora comincerà l’asilo e abbiamo anche quel tema lì. Ma non è una lamentela, anzi. È una nuova routine da costruire ed è bellissimo farlo assieme a loro”

So che è stato invitato a Ballando con le Stelle, ma ha dovuto declinare l’invito.
“Siamo dispiaciutissimi io e Marta (ride n.d.r.)”

Le posso chiedere come si pone nei confronti di questa nuova popolarità?
“In Italia normalmente, anche perché non siamo inseguiti da tutti come succedeva in Asia”

Ho visto che nelle Filippine e in Giappone siete stati accolti con gli isterismi che ci piace vedere e di cui sorridiamo sempre.
“Quello che mi faceva sorridere erano le urla e il fatto che non appena varcavi la porta venivi assalito e buttato quasi contro le transenne. Sono calorosissimi e davvero troppo gentili. Ci sono stati tifosi che mi aspettavano sia in Cina che nelle Filippine con dei regali per me o per mia figlia. La gente faceva educatamente la fila per consegnarti i pacchetti. L’effetto è strano, ma non mi aspetto che sia questa la mia nuova quotidianità”

Ci mancherà in Italia Romanò.
“Sarà reciproco, ma sono felice di poter vivere anche questa parentesi così lontana da casa”

Intervista di Roberto Zucca
(© Riproduzione riservata)

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