I tried to talk with God to no avail
Calling him in and out of nowhere
I said, ‘If you won’t save me please don’t waste my time’
Quante volte ci siamo immersi in questo britpop degli anni più belli. Quante volte, parafrasando gli Oasis, che non dovremo mai interpretare, ma comprendere, abbiamo cercato di parlare dei nostri dolori con qualcuno che si chiami come meglio conviene, chiedendo di esprimere un verdetto o di indicarci la via per il proseguimento della nostra storia personale.
Quante volte abbiamo ascoltato storie di sport, di cadute, di rinascita, di giustizia e ingiustizia, di attese, di lacrime, di speranza. Personalmente tanto, ma raramente ciò che ti riguarda da vicino, perché tutte queste righe mi espongono anche ad un’amicizia decennale, ha la forza di Simone Anzani.
In un lungo viaggio Torino-Verona, in una notte frizzante e quasi settembrina, io e Simone ci siamo detti tutto, abbiamo fatto un percorso più lungo di quei km in macchina, di quegli autogrill passati e di quelle luci di città lontane. In un dopopartita che si affaccia sul viaggio che Anzani e la nazionale stanno per compiere nelle Filippine per affrontare il Mondiale, il milionesimo della sua carriera perché io non ho più voglia di contarli, ci siamo raccontati i nostri anni peggiori e migliori. Ho esordito dicendo al protagonista di questa storia che quello che ha fatto e vissuto non ha dell’incredibile, ma ha del simbolico. Anzani è il simbolo più potente della pallavolo italiana, qui non parliamo di storie di generi e di vittorie, ma di potenza, di correnti di fiumi che trascinano con sé ricordi e dolore. Simone è il rinascimento, la quiete dopo la tempesta di questi tempi in cui la pallavolo è così popolare, così ricercata dai giovani. È una storia che ha tutto, se sei un autore di serie abbastanza scaltro da vederci la commedia e il dramma. È un canovaccio che nel 2023 indica un cuore che batte con irregolarità e nel 2025 batte forte con il ritmo vitale di chi ce l’ha fatta.
Non ci vogliono cardiologi o specializzandi che ripercorrono in questa conversazione giorni di visite, ablazioni cardiache, stagioni che iniziano e si stoppano, olimpiadi rincorse e sogni infranti. Mettiamoli da parte e mettiamo in fila i pezzi: perché Simone ce l’ha fatta?
Perché ha avuto un mondo che ha spinto insieme a lui. Sono molto coinvolto in ciò che sto scrivendo perché da dieci anni, da quando giornalisticamente mi sono innamorato di una sua commovente intervista nel suo ultimo anno a Verona, io e Anzani non ci siamo più lasciati. Ho conosciuto la sua famiglia ad Assago in un lontanissimo anno, ho visto arrivare quello splendore di Carolina, moglie e compagna di vita, ho vissuto indirettamente la nascita di Viola e Vittoria, nel 2021 e nel 2024, che sono il motore di un cambiamento personale che oggi mi fa vedere Simone con occhi molto diversi. Da tutto questo partiamo e se non parleremo abbastanza di volley me ne scuso in anticipo. C’è troppa vita in questa storia per dedicarsi solo ai dettagli di un Mondiale che dentro tutto questo può egoisticamente essere visto come contorno.
“È un momento in cui, di quello di cui lei parla, riesco a non pensare più. Ho appena concluso un amichevole contro l’Olanda e ora la testa è proiettata al prossimo mese di settembre nelle Filippine per affrontare il Mondiale. È un’occasione in cui provo tanta fiducia per questo gruppo e nella quale voglio che si capisca quanto coesa sia questa squadra. So che chi analizza le cose guarda spesso al bicchiere mezzo vuoto, mentre io guardo sempre a quello mezzo pieno e dico che nell’ultimo ventennio ciò che ha raggiunto questo gruppo può considerarsi incoraggiante, anche perché siamo sempre stati tra le prime quattro squadre del mondo in ogni occasione utile. Non dico che è da considerarsi un miracolo, ma non guarderei il dito, bensì la luna. La strada da fare sicuramente è tanta, ma quella fatta è stata altrettanto importante e corposa”

Lei si riferisce a chi subito dopo la VNL ha parlato di delusione contro la Polonia. Mi dica lei come considerare questa squadra. Odierà l’espressione bestia nera. Si senta libero lei di rispondere.
“Intanto non è imbattibile. Io dico sempre che la palla è rotonda, e questo lo sappiamo tutti e che una volta scesi in campo può succedere di tutto. In questo momento storico è forse la squadra più forte, ma è accompagnata da altre quattro o cinque squadre che possono competere contro di loro e una di queste, ci tengo a dirlo, siamo proprio noi. Quello che dobbiamo trovare è solo la serenità di giocare insieme e di credere di poter essere all’altezza di queste partite. In tal senso dopo la VNL eravamo un po’ destabilizzati e abbiamo lavorato negli ultimi mesi per ritrovarci”.
Daniele Lavia. Affrontiamo insieme non tanto l’infortunio in sé, bensì l’assenza. Lei è forse uno dei pochi che può davvero comprendere il peso che si portano certi eventi.
“Non c’è molto da dire, se non di poter rivedere presto in campo Daniele. Peserà la sua assenza? Mancherà tanto a questo gruppo, questo va detto. Noi cercheremo di sopperire. Dico una cosa, penso sia mio dovere, ovvero che Lavia è un elemento fondamentale, ma ci sono giocatori come Bottolo, Porro che sanno giocare determinate partite. Daniele in quel ruolo è una grande tranquillità e toglie dal campo tanta responsabilità, ma ci sono Mattia, Luca o anche lo stesso Sani che possono e vogliono dimostrarti di essere lì per giocarsela alla pari. Non possiamo non essere fiduciosi di questi ragazzi e io sono il primo a credere in loro”.

Quanta strada fatta Anzani. Sembra ieri il pensiero di quel ragazzo sbarbato che si commuoveva davanti al pubblico di Verona. Che cosa, secondo lei, l’ha aiutata a diventare uno dei riferimenti della nostra pallavolo?
“Intanto la ringrazio se lei mi vede come un riferimento. Credo di essere stato molto fortunato nel trovarmi di fianco le persone giuste che mi hanno permesso di fare un cammino intenso, fatto di tanto lavoro, di gioie e di sofferenza. Forse dice bene lei quando pensa che c’è stato un po’ tutto”.
Mamma e papà.
“Si sono costruiti dal nulla, a me e Valentina, mia sorella non ci hanno mai fatto mancare nulla e sono stati un esempio in tutto. Se nel 2008 non mi avessero dato il via libera per andarmene a Treviso, non staremo scrivendo questa storia. Pensi che io volevo fare il dentista”.
In questi anni per vie traverse, mi permetto, credo che la barra dritta l’abbia tenuta il fatto che per tutto il suo contesto lei sia solamente Simone. Senza etichette, senza nomignoli, senza fronzoli o meriti o luci.
“Non sognavano certo che io diventassi campione del mondo o non volevano per me un destino che io stesso non sognavo. Volevano facessi una strada che prima di Perugia penso non fosse chiara nemmeno a me. È stato forse quello il momento in cui mi sono sentito che con questo lavoro avrei potuto arrivare a conquistare qualcosa di significativo per me”.
Valentina Anzani. Sua sorella, così distante dal suo mondo. Forse accomunata nell’essere un’artista, una libera pensatrice.
“Il nostro rapporto negli anni di Treviso si è affievolito perché erano età in cui le distanze non eravamo in grado di gestirle. Ora mia sorella è una delle persone più importanti della mia vita. Quando devo prendere una decisione importante o quando ho bisogno di qualcuno che mi dia un consiglio o un suggerimento, lei c’è e io ci sono per lei”.

Gli amici. Quelli degli esordi, quelli che non sono arrivati ad essere campioni del mondo, ma che nelle sue vittorie si sono rispecchiati e che sono sempre stati in prima fila per applaudire il suo avanzare.
“Beretta, Moro, Santin, Taliento, per me semplicemente Tommy, Andre, Macci e Willy. Sono i fratelli che non ho avuto e che mi sento di aver trovato. Con loro sono cresciuto e la loro mancanza in tanti momenti è stata un sacrificio. Ci sono state sere in cui ricordo ciò che facevo solo perché non potevo stare con loro. La cosa di cui vado più fiero è che ognuno di noi ha fatto una strada importante e ognuno è stato felice per i successi e i traguardi dell’altro. Io sono orgogliosissimo di tutti e quattro”.
A sua moglie, Carolina, dobbiamo dedicare uno spazio significativo.
“Cosa vuole che le dica? Che è la donna della mia vita, che è la persona che più mi è stata accanto e con cui ho scelto di stare assieme tutta la vita, facendo una famiglia. È la madre delle mie figlie, che nei momenti di cui parlava lei all’inizio mi hanno salvato”.
Carolina è la donna che ha contribuito a farla diventare il Simone Anzani di oggi. Lo voglio dire, non è un giudizio banale o scontato.
“Il destino voleva così. Quando ci siamo fidanzati, la mia carriera ha avuto un’impennata. In questi ultimi due anni non è stato semplice starmi accanto e lei ci è riuscita perché mi ha supportato e sopportato”.

Lei due anni fa si ferma. La vicenda è nota. A cosa ci si aggrappa in quei momenti?
“I dottori ti dicono che c’è la possibilità che la tua carriera possa concludersi e lì inizi a pensare. Quando torni a casa ci ragioni ed elabori il piano B della vita perché spaventarsi o essere impreparati è un grosso errore che ti manda in confusione. Io penso già da tempo a quello che verrà dopo e anche in quelle fasi devi imparare a reagire”.
Siamo qui a parlarne perché la sua carriera è splendidamente ripartita. Cosa l’ha fatta reagire?
“Il primo pensiero? Anche solo mia figlia Viola che mi abbraccia e mi dice che mi vuole bene. I medici che mi aiutano a farcela, il tempo che ho trascorso con Carolina e le bambine, recuperando il tempo che in questi anni ho investito nella pallavolo. In questo lei è stata fantastica e non mi ha mai fatto pesare l’assenza da casa”.

So che non vuole andare avanti col tempo. Non parliamo dei prossimi anni, ma mi conceda un pensiero per i prossimi mesi.
“Modena. Una città bella, complessa dal punto di vista della tifoseria, che ogni domenica ti regala almeno 2500 persone pronte a tifarti, ma anche a trovarti al supermercato il lunedì e muoverti una critica perché non hai fatto ciò che dovevi. È una realtà con cui ti misuri ogni settimana. È una piazza unica”.
Quanto crede nella nuova Modena?
“È una squadra di potenziale. Abbiamo un palleggiatore di grande potenziale, abbiamo Porro, il libero. Dobbiamo trasmettere qualcosa di più della scorsa stagione e costruire una forte identità di squadra. Mi piacerebbe che il pubblico venisse a riconoscere il valore della squadra e del lavoro che faremo. Saprò però dirglielo tra qualche mese, quando tireremo le somme di tutto”.
Intervista di Roberto Zucca
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