“Sarà una squadra molto giovane“. Si lascia sfuggire solo questo Julio Velasco sulla sua prossima avventura alla E-Work Busto Arsizio (“Fino ad agosto devo pensare alla nazionale“), ma in compenso dice molto sui motivi che lo hanno spinto a lasciare il ruolo di direttore tecnico delle nazionali giovanili maschili. E risponde così all’appello del presidente Fipav Giuseppe Manfredi, che alla conferenza stampa di presentazione delle nazionali si era augurato di ritrovarlo presto in azzurro: “Anch’io spero di poter tornare tra 2-3 anni, sento la Federazione come casa mia, così come Modena; sono posti che hanno segnato la mia vita sportiva e personale“.
“Io non voglio andarmene – spiega Velasco – voglio fare una nuova esperienza. Diciamo che se lavorassi al Ministero chiederei l’aspettativa… Poi è chiaro che magari tra 2-3 anni non mi vorranno più, ma questo è nella natura delle cose. Io spero di tornare“. E aggiunge: “Io ho bisogno di cose nuove, è sempre stato così, l’unica volta che sono rimasto per 8 anni nello stesso posto è stato alla nazionale maschile, per ovvi motivi. E quando uno ha una certa età ha ancora più bisogno di novità per mantenere il cervello giovane“.
“Questo lavoro mi piace moltissimo – assicura il tecnico italo-argentino – però devo rinnovarmi, e la pallavolo femminile mi è sempre rimasta qui. Sono arrivato nel 1997 quando non ci credeva nessuno e sono rimasto solo un anno, quindi non è certo merito mio, ma da allora la nazionale è andata per la prima volta alle Olimpiadi e poi c’è stato tutto il resto. Oggi la pallavolo femminile non è più la sorella minore della maschile, anzi, se non ci diamo una mossa ci supera. Basti dire che per la prima volta l’immagine della pallavolo italiana è una donna“.
Velasco lascia l’Italia più vincente di sempre, ma minimizza i suoi meriti: “Non penso di aver fatto chissà cosa. Quando sono arrivato 4 anni fa dicevano che al maschile mancavano questo o quell’altro, io già allora sapevo che c’era tantissimo. Ci credevo 4 anni fa, ma anche nel 1989 e nel 1997, perché sono convinto che l’Italia ha un movimento straordinario, per le società, le finali nazionali, l’appoggio della Federazione alle nazionali. Pochi paesi hanno questo potenziale“.
“Lascio un settore giovanile in salute, che ha superato il Covid – continua il direttore tecnico – anche se ha sempre alcuni problemi da risolvere: il primo è il reclutamento, a differenza del femminile. Nel maschile bisogna sempre mettere l’accento su questo, non solo a 11-12 anni ma anche a 16-17, perché anche a quell’età possono nascere i campioni, vedi Zorzi e Lucchetta. Poi bisogna continuare a crescere e insistere sulla preparazione tecnica e fisica, ma al tempo stesso stare attenti a non sovraccaricare i ragazzi di impegni, perché a volte si esagera“.
Infine (in realtà in apertura dell’intervista) il discorso a cui Velasco tiene di più, quello sulla pressione dell’opinione pubblica: “Le responsabilità le abbiamo e le dobbiamo avere, ma non dobbiamo creare l’obbligo di vincere. Lo abbiamo visto anche in campionato, lo vediamo nel calcio, nell’NBA. Uno se lo crea già da solo, perché chi ha vinto vuole ripetersi; ma in realtà non è così, ogni campionato finisce e si ricomincia da capo, chi ha perso una volta farà di tutto per vincere l’anno dopo. Nelle giovanili, poi, i giocatori cambiano, ci sono gli infortuni… Imponendo la vittoria si crea una situazione nervosa difficile da gestire“. La conclusione è però benaugurante: “Mi sembra che entrambi i movimenti siano in salute, il che non vuol dire che vinceremo sempre, però saremo sempre lì tra i migliori“.