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Benjamin Patch, tra la fotografia e il volley. Un artista alla corte di Tubertini

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Di Roberto Zucca

Estroso. Creativo. Fantasioso e fantasista. Benjamin Patch è tutto questo e anche di più. L’astro nascente della pallavolo americana è il sorvegliato speciale di questa Vibo Valentia, nonché, dicono in tanti, l’erede di quel ragazzino ancora terribile chiamato Anderson. L’opposto originario del profondo Utah, è arrivato in Italia con il desiderio di fare bene e con una grande passione per il nostro paese:

“I love Italia! Il vostro paese è speciale, meraviglioso. Ho imparato ad amare la Calabria sin dai primi giorni. Per un ragazzo come me, è più facile ambientarsi nelle metropoli, Milano o Roma su tutte, ma di Vibo apprezzo il sole, la vicinanza al mare, i paesaggi. È tutto molto bello, davvero”.

Vibo qualche mese l’ha presentata pompa magna. Pronostici rispettati finora.
“Per ora sono soddisfatto di ciò che ho fatto anche se come squadra dobbiamo fare molto di più. Possiamo fare molto di più. È una squadra di elementi validissimi in ogni reparto e siamo seguiti da coach Tubertini con cui lavoriamo molto bene”.

La classifica non esprime quindi il potenziale di Vibo?
“Sinceramente? Penso di no. Ripeto, le potenzialità sono tante. Abbiamo disputato qualche gara non al massimo della condizione e vogliamo riprendere il girone di ritorno mettendo la quinta marcia e cercando un pronto riscatto”.

Il campionato italiano e quello americano. Pregi e difetti.
“Per l’italiano direi solo pregi. Io ho giocato nei collegiali e il livello tecnico è diverso. Qui hai la fortuna di confrontarti con persone che poi ritrovi negli eventi nazionali con gli Stati Uniti”.

Quali sono le squadre che si diverte più a sfidare?
“Direi tutte le big. Anche perché ci giocano tanti amici con cui poi condivido la mia esperienza in nazionale. Penso ultimamente alla sfida con Milano, dove ho giocato contro Taylor (Averill, ndr) che è il mio migliore amico”.

La vostra da quello che so, è un’amicizia molto importante.
“Se parlo di lui come amico potrei commuovermi. Taylor è una di quelle persone che si incontrano una volta nella vita. È una persona che riesce a starti vicino e ad esserci sempre. È sempre pronto a confrontarsi e a darti un consiglio, e per me i suoi suggerimenti sono sempre molto importanti. Dentro e fuori dal campo”.

È vero che avete una visione molto simile della pallavolo?
“Diciamo che adesso siamo focalizzati sulla pallavolo. Ma per noi c’è anche altro oltre la pallavolo. La vita pallavolistica è impegnativa ed in questo senso non è totalizzante”.

Ad esempio la fotografia? Ho visto il suo sito personale.
“È una passione nata da autodidatta diventata anche un’attività che mi ha dato qualche sbocco al di fuori della pallavolo. È la mia parte creativa, quella in cui mi esprimo e in cui cresce la mia fantasia, la mia estrosità”.

Le piacerebbe farla diventare una professione?
“In generale mi piacerebbe che l’arte diventasse la mia occupazione un giorno. In ogni sua declinazione. Magari rimanendo a vivere in Italia, a Milano, che sotto il punto di vista dell’arte moderna è così avanti e per certi mi ricorda New York, un altro luogo che io amo follemente”.

E la pallavolo?
“È il mio lavoro. E adesso nel mio lavoro voglio fare sì che si avverino tutti i miei sogni e tutte le mie ambizioni professionali”.

Semplicemente Benjamin Patch.

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